| PIAVE: Belluno e Treviso   | DRAVA: Dobbiaco e Wörthersee      
    SITO: <precedente - successivo>
Sito n. Descrizione Località file PDF
88 Diga del Vajont Erto  
Archeologia Industriale (AI) (vedi scheda n. 32)  
   
  La diga del Vajont; in alto le luci degli scarichi di superficie, in basso il ponte tubo ricostruito dopo la frana. Foto: Archivio Fotografico del Centro Civiltà dell’Acqua  

  • Dati identificativi
  • Struttura edilizia
  • Architettura interna
  • Stato di conservazione
  • Riferimenti
  • Descrizione

Nome dell’opera/manufatto

Diga del Vajont

Tipo edilizio:

Sbarramento fluviale

Localizzazione (Comune, Prov):

Erto, Pordenone, Italia (Versante Est verso Longarone)

Coordinate GIS:

Coordinate (tipologia Gauss Boaga): X: 1756796 - Y: 5129062

Anno di realizzazione:

1957-1960

Progettista:

Carlo Semenza

Committenza:

Sade (Società Adriatica di Elettricità) poi ENEL

Destinazione originaria:

Sbarramento fluviale per produzione energia elettrica

Destinazione attuale:

Nessuna, monumento

Accessibilità:

Ci sono due modi per approcciare la diga del Vajont o Colomber.
Il più diretto è quello di raggiungere Longarone da Ponte delle Alpi seguendo la SS51 e guardare dall'altra parte della vallata.
Ad un certo punto, poco prima del centro del paese, la valle del Vajont si apre alla vista e in quella stretta V di roccia appare in tutta la sua allucinante maestosita una alta lama di cemento, segno imperituro dell'ardito progetto.
Da li, deviando alla sinistra, seguendo le indicazioni per la diga o per Erto si raggiunge la strada che sale sui fianchi del monte fino alle gallerie sovrastanti la diga, a quel punto conviene oltrepassare le gallerie e la chiesa dedicata all'evento e parcheggiare o lungo la strada o nei parcheggi più a monte e poi scendere a piedi.Dalle finestre delle gallerie stradali si riesce a vedere abbastanza il coronamento, e la diga a monte.
Il secondo modo, è quello di raggiungere la diga arrivando dalla Val Cellina, quindi attraverso Barcis, Cimolais e poi Erto.
Scesi dal passo di S. Osvaldo dopo Cimolais, in lontananza, si vede la M del fronte della frana, visione che ci accompagna fin dopo l'abitato di Erto.
Dopo Erto si passa direttamente sulla frana per poi giungere dietro alla diga. Senza una buona conoscenza della storia e dimensioni della frana difficilmente si riesce ad apprezzare l'enormità del fronte franoso e quindi si rischia di passarci a fianco senza nemmeno notarlo, anche perché sullo smottamento ha attecchito un discreta vegetazione e quindi potrebbe sembrare un monte qualsiasi.

Contatto per la visita:

La Pro Loco di Longarone organizza visite alla struttura.
Piazza Gonzaga 1, 32013, Longarone Belluno.
info@prolocolongarone.it
www.prolocolongarone.it
Tel. 0437 770119 - Lun-Sab. 10:00-12:30 15:30-18:00

Pianta

Pianta ad arco

Tecnica Muraria

Volta a doppia curvatura in calcestruzzo; (la quinta diga più alta del mondo, la seconda ad arco).

Solai

-

Coperture

-

Pavimenti

-

Scale

-

Arredi interni

-

Decorazioni

-

Stato attuale:

Discreto

Restauri e compromissioni
significative:

La frana del 9 ottobre1963, pur non avendo compromesso l’integrità della struttura ne ha ovviamente reso impossibile l’utilizzo.

Categoria/parole chiave

Sbarramento fluviale /Diga

Fonti:

Edite

Archivi:

 

Bibliografia:

C. Pavan, Le dighe e le centrali idroelettriche del bacino del Piave, Santa Lucia di Piave, 2001
Progetto dighe, Elvis Del Tedesco su: https://www.progettodighe.it/main/

Descrizione dell’opera/
sito/manufatto

La diga di Colomber sul torrente Vajont.
Lo sbarramento è a cupola. Il suo spessore alla base è di 22.11 metri e quello minimo è di 2.9 metri. Il suo coronamento è lungo 190.5 metri con una corda di 161 metri. Gli scarichi di superfice sono costituiti da 16 scarichi a stramazzo distribuiti sulla maggior parte del coronamento. La diga era dotata di 4 scarichi in profondità:
di alleggerimento a quota 579.36 m.s.m.
di mezzo fondo a quota 573.36 m.s.m.
di fondo a quota 514.37 m.s.m.
di esaurimento a quota 481.9 m.s.m.
Oltre agli scarichi dell'impianto sono presenti i due scarichi di immissione provenienti dal serbatoio del Piave (quota 600,84) e dalla centrale di Gardona (quota 585) e le due prese, una per la centrale del Colomber (quota 583.91) e per il serbatoio di Val Gallina (quota 591). Di fronte alla diga è presente il ponte tubo che con l'impianto in funzione avrebbe dovuto costituire il by-pass dai serbatoi a monte al serbatoio di Val Gallina. In anni recenti(1988), con la messa in sicurezza della zona della diga, la galleria sul ponte tubo è stata fatta passare a monte della diga, dentro la frana.

Descrizione del contesto
di riferimento:

L'impianto Piave-Boite-Maè-Vajont è stato pensato per garantire continuità tra gli impianti già esistenti, nell'utilizzazione delle risorse idrauliche del fiume Piave, infatti a monte di tale impianto esistono i serbatoi del Comelico e il serbatoio di Santa Caterina di Auronzo, che sfruttando rispettivamente i fiumi Piave e Ansiei, e consentono lo sfruttamento idroelettrico delle acque tramite la centrale di Pelos, con scarico a quota 683.50m; inoltre a valle è presente la presa degli impianti Piave-S.Croce a Soverzene, a quota 390m. Quindi l'intero sfruttamento delle risorse idroelettriche della valle del Piave tra le quote 683.50m e 390m viene affidato all'impianto Piave-Boite-Maè-Vajont.
Questo è lo scherma dell'impianto prima della costruzione della diga del Vajont.
Dal serbatoio di Pieve di Cadore si sviluppa, sulla sinistra del Piave, per una lunghezza di 25 Km, la galleria principale (4.50m di diametro) in pressione che adduce le acque al serbatoio di Val Gallina e alla centrale di Soverzene.
Durante il suo percorso la galleria sorpassa il torrente Vajont (tramite il ponte-tubo): le acque convogliate possono seguire il percorso diretto oppure essere immesse nel serbatoio del Vajont.
Nella galleria principale di adduzione confluiscono da destra, con attraversamento del Piave su tubazione a sifone (visibile percorrendo la statale che da longarone porta a Pieve di Cadore), le acque del Boite regolate dal serbatoio di Vodo di Cadore (con centrale di produzione a Pontesei) e le acque del Maè regolate dal serbatoio di Pontesei (con centrale di produzione a Gardona); le acque del Boite arrivano alla centrale di Pontesei mediante una galleria di 9.258Km con diametro 2.55m, da tale centrale, raccogliendo anche le acque del serbatoio di Pontesei, parte la galleria di 12Km e 2.75m di diametro, che aziona la centrale di Gardona e tramite la tubazione a sifone si congiunge alla galleria principale.
Le acque del serbatoio del Vajont, dopo aver azionato la centrale del Colomber (situata in caverna in prossimità della diga), vengono scaricate nella galleria principale dell'impianto e addotte, insieme alle acque provenienti dai serbatoi di Pieve di Cadore, Vodo di Cadore, Valle di Cadore e Pontesei, al serbatoio di Val Gallina.
Il serbatoio di Val Gallina ha la funzione di regolatore giornaliero nonché vasca di carico per la centrale di Soverzene, situata a 2.5Km a valle e alimentata tramite due gallerie parallele in pressione di 5m di diametro.
La crescente richiesta di energia elettrica nel dopoguerra creò le condizioni che portarono a progettare e costruire l'enorme diga del Vajont. Questa diga alta 266 m, che consentiva di creare un bacino di 150 milioni di m3 d'acqua, avrebbe consentito il regolare funzionamento delle centrali idroelettriche durante tutto l'anno, anche durante i periodi meno piovosi.
Per farsi un'idea si tenga presente che la diga del Vajont conteneva più di 1 volta e mezza la somma dei volumi d'acqua di tutti gli altri bacini dell'impianto dell'alto Piave. Si può capire come, in tal senso, era in progetto un'ulteriore galleria per mettere in comunicazione tale immenso bacino con gli impianti del Cellina, ovvero Barcis(Ponte Antoi) e Ravedis (quest'ultimo all'epoca già nella mente dei progettisti), allo scopo di regolarizzarne il funzionamento.
Particolarità del serbatoio del Vajont è che il livello del massimo invaso, a quota 722 m, è superiore di 40 m al livello piezometrico della galleria principale di derivazione, o per dirla con parole più semplici, il serbatoio del Vajont non può essere riempito dal serbatoio di Pieve di Cadore, poichè quest'ultimo ha come quota di massimo invaso 683m; d'altra parte il torrente Vajont stesso non è in grado, causa la sua esile portata, a riempire un bacino di tali dimensioni. Le portate del serbatoio del Maè, che sono derivate a quota 850m sarebbero idonee per il riempimento del bacino del Vajont fino a quota 722m, comunque si è preferito adoperare anche le acque provenienti dal Boite (800m), per avere una maggiore riserva con cui arrivare al massimo invaso, e garantire in tal senso il funzionamento continuo della centrale di Soverzene.
L'energia posseduta dal dislivello tra il bacino del Vajont e il livello piezometrico della galleria di derivazione viene quindi convertita in energia elettrica dalla centrale del Colomber, ricavata in caverna ai piedi della diga. Tale centrale quindi era destinata a funzionare quando il bacino era pieno o quasi, e consentiva in tali condizioni lo scarico delle acque verso il serbatoio di Val Gallina, e quindi a Soverzene per utilizzare il salto residuo.

Cronologia dell’impianto

1926-1958
In questo periodo cresce e si sviluppa il progetto del Grande Vajont, partendo dalla scelta di costruire la diga a valle del ponte del Colomber (ipotesi del prof. G.Dal Piaz del 1928), e scartando l'ipotesi fatta in precedenza (prof. J.Hug di Zurigo del 1925) di costruire la diga nella stretta del ponte di Casso; questa scelta permise di costruire una diga molto più alta, con il compromesso di dover impermeabilizzare le spalle della diga nella zona del Colomber, poichè il calcare in tale zona, chiamato calcare del Colomber, era permeabile.
Infatti l'ipotesi del prof. J.Hug indicava la zona migliore per erigere la diga, secondo i mezzi dell'epoca, quando però si scelse effettivamente di costruire la diga nella zona proposta da Dal Piaz (più tardi, nel 1937), le difficoltà tecniche che rendevano fino a quel momento impossibile l'impermeabilizzazione del Calcare del Vajont erano state superate. Furono fatti anche dei sondaggi per testare la tenuta dell'intero bacino, cui segue la relazione di Dal Piaz del 1930, in cui sostanzialmente non si notavano movimenti franosi rilevanti, bisogna aggiungere, però, che all'epoca le principali attenzioni erano rivolte alle spalle della diga, e non ai fianchi del serbatoio.
Nel 1937 viene presentato il progetto della diga del Vajont, nella zona del Colomber, con diga a quota 660m, e in allegato relazione di Dal Piaz.
Nel 1939 l'ing. Carlo Semenza formula l'idea di realizzare il complesso sistema Piave-Boite-Maè-Vajont.
Nel gennaio del 1957 a progetto si innalza il bacino a quota 722.50m, vengono fatti sondaggi per determinare la stabilità delle zone di Erto, sella di S.Osvaldo, ma sostanzialmente non vengono rivelate anomalie preoccupanti, l'interesse è ancora concentrato sulle imposte della diga, che per l'appunto iniziano a essere costruite. Oltre alle relazioni di Dal Piaz esistono quelle del prof. Leopold Muller, che parla di alcune possibili masse instabili sulla piana del Toc (la più grande di circa 1 milione di m3), che potrebbero facilmente essere asportate, (si badi bene: non è la Frana del 1963, scoperta più tardi e all'epoca nemmeno immaginata), inoltre il prof. Muller, geomeccanico, aveva lavorato anch'egli alle imposte della diga, suggerendo peraltro la realizzazione di un interessante modello geomeccanico per studiare il comportamento della diga e del calcare del Vajont alle sollecitazioni create con la formazione dell'invaso.
Nell'agosto del 1958 iniziano i getti per la costruzione della diga, mentre il 19 ottobre 1958Dal Piaz scrive una nuova relazione riguardante la strada in sinistra Vajont, in cui si evidenzia come eventuali movimenti franosi saranno di scarsa entità.

1959
22 Marzo, frana nel serbatoio di Pontesei, valutata di circa 3 milioni di m3, e che rappresenta il primo campanello di allarme che porta a eseguire nuove indagini sul serbatoio del Vajont. Il prof. Muller incarica il geologo Edoardo Semenza (figlio di Carlo), a eseguire una serie di indagini sull'intero bacino, Semenza sarà affiancato in seguito da F.Giudici.
Fine agosto 1959 E.Semenza scopre l'esistenza di una grande frana che comprende il pian del Toc e il pian della Pozza, e avanza l'ipotesi che questa massa possa muoversi con l'invaso.
Novembre 1959, indagine geosismica del prof. P.Caloi riguardo la supposta Paleofrana, con risultati discordanti da quelli di E.Semenza, in sostanza Caloi nega l'esistenza della frana, parallelamente continuano le indagini di E.Semenza, il cui programma di studi è stato formalizzato da Muller.

1960
La diga è già eretta per i due terzi, in febbraio inizia l'invaso sperimentale, e già da subito si inizia a notare movimenti franosi, infatti in primavera vengono posizionati vari capisaldi allo scopo di misurare i possibili movimenti; il 9 luglio una nuova relazione di Dal Piaz nega, in sostanza, l'esistenza della paleofrana, mentre in settembre terminano i getti per la costruzione della diga.
Verso la fine di Ottobre i movimenti si accentuano, compare una minacciosa fessura perimetrale a monte della massa della paleofrana (la famosa M di Muller, secondo Paolini), ma soporattutto, il 4 novembre, con l'invaso a 650m, una frana di circa 700.000 m3 scivola nel lago, provovando un ondata di circa 2m, senza conseguenze per cose o persone. Tale frana è allarmante, subito arrivano Muller, E.Semenza, e si concorda di abbassare lentamente il livello dell'invaso, ciò causa l'arresto dei movimenti della frana, inoltre si progetta la galleria di sorpasso, ovvero una galleria che consentisse di mettere in comunicazione la diga col resto del bacino qualora la frana lo dividesse in due parti.

1961
Il 3 febbraio Muller consegna il suo rapporto sulla frana, in cui sono riportati i risultati di E.Semenza/F.Giudici, in sostanza viene preso atto dell'esistenza della paleofrana, e si danno indicazioni sui possibili rimedi, tra i quali cementare la frana, o provare a farla cadere con grandi mine (inattuabile e costoso), o anche creare delle gallerie di drenaggio dell'acqua all'interno della frana (probabilmente, benchè difficilmente attuabile e con il senno di poi, ciò avrebbe migliorato la situazione, purtroppo però non fu mai attuato); in sostanza Muller non consigliava l'abbandono del bacino, ma anzi incentivava nuovi studi per capire al meglio la dinamica della massa in gioco e controllarne i movimenti, Muller pensava di riuscire a creare una sorta di frana lenta e controllata, che avrebbe consentito di far cadere nel lago a poco a poco la massa franosa, in maniera sicura.
In primavera inizia la progettazione di un modello idraulico per simulare gli effetti di una grande frana nel serbatoio, le prove continuano fino all'anno successivo. Da luglio fino a ottobre si installano 4 piezometri sulla frana, per conoscere il livello dell'acqua al suo interno.
Il 30 Ottobre muore Carlo Semenza, probabilmente l'unico che aveva la capacità e le possibilità per gestire una situazione critica di questo genere.
In ottobre inizia il secondo invaso, che arriva a quota 700m nel novembre del 1962, e causa nuovi movimenti della frana.

1962
Il 20 aprile muore Dal Piaz, che fino all'ultimo non ha ammesso l'esistenza della paleofrana.
Il 3 luglio il prof. Ghetti consegna la relazione sulle prove fatte sul modello idraulico del bacino, viene stimata come di assoluta sicurezza la quota di 700m, purtroppo, benche il modello sia esatto, inesatta fu la stima del tempo di caduta della frana, giudicato ben più lento di quello che in realtà avvenne. In definitiva il prof. Ghetti fece un buon lavoro, ma i dati che possedeva riguardo i tempi di caduta della frana, erano errati, e quindi la quota di sicurezza da lui data era errata. Si scoprì in seguito che i fenomeni distruttivi di un'eventuale onda che tracimasse la diga possedevano legame esponenziale rispetto al tempo di caduta della frana, quindi i 30m d'ondata ipotizzati da Ghetti divennero 250m, perché la frana non cadde in 1 minuto (tempo minimo ipotizzato), ma in meno di 30 secondi.(chiaramente sono considerazioni col senno di poi).

1963
In marzo la gestione dell'impianto passa dalla SADE all'ENEL, e ciò causa ulteriore confusione in termini di gestione e comprensione del problema frana.
Verso fine giugno vengono superati i 700m, e i movimenti della frana ricominciano (circa 0.5 cm al giorno), tuttavia, (in modo totalmente irresponsabile), al posto di abbassare l'invaso si continua a invasare, raggiungendo, alla fine di agosto, i 710m.
In settembre la velocità della frana aumenta e raggiunge i 2cm al giorno, il 18 settembre si decide per lo svaso, ma si inizia a svasare solo il 26 settembre(questo ritardo è probabilmente causato dalla gestione 'più macchinosa' dovuta all'ENEL ).
Il 9 Ottobre 1963 curiosamente c'è una riunione a Praga del Comitato Internazionale Grandi Dighe, con discussione sulla opportunità o meno di fare serbatoi in valli che abbiano avuto dei franamenti. (Nessuna decisione)
Alle 22.39 la grande massa scivola nel serbatoio, generando un'ondata di proporzioni immani, che tracima la diga, e distrugge i paesi a valle, più di 2000 le vittime.

Descrizione altre attrattive
(paesaggi e luoghi d’acqua,
prodotti tipici locali e servizi
turistici aggiuntivi)

Di un certo interesse è la visita della mostra fotografica permanente sul Vajont presso la sede della pro loco di Longarone.
A fianco della diga, chiesetta commemorativa, punto da cui si dipartono le visite.
Cfr. le schede su Longarone e i fondovalle interessato dall’onda della frana.

Commenti/note

-

Compilatore della scheda

Francesco Antoniol